lunedì 24 marzo 2014

Le antenne della tristezza e la società degli antidolorifici




Tristezza
per favore va via
tanto tu in casa mia
no, non entrerai mai

....cantava Ornella Vanoni un po' di tempo fa. Cacciare via la tristezza lontano da noi è una tentazione facile che a volte cattura anche chi lavora nelle cosiddette professioni d'aiuto. Vivere felici e contenti, sempre sorridenti e positivi è qualcosa che in vari modi ci viene suggerito dai messaggi pubblicitari, dai saggi consigli di chi ne ha passate tante, da una morale vagamente ottimista che non sopporta troppo il peso dell'anima umana. 
La tristezza è biologicamente fondamentale. E' l'altra faccia della medaglia dell'amore. Quando c'è tristezza qualcosa nell'amore si sta allontanando. La tristezza è la misura della distanza da qualcosa che amiamo.
Con un mio paziente qualche tempo fa abbiamo fatto questa bella metafora: la tristezza è come un'antenna. Se ce l'hai piazzata sul tetto cogli le trasmissioni tristi, ma è con la stessa antenna che puoi cogliere l'amore, la gioia, la soddisfazione. Togliere l'antenna, come la società degli antidolorifici ci propone (provate a guardare in tv o su internet quante pubblicità ci sono su farmaci che fanno passare il dolore) è un tentativo non solo inutile, perchè tanto le emozioni che fai uscire dalla finestra rientrano dai sotterranei dell'anima, ma anche il modo migliore per allontanarsi da una vita piena di soddisfazione e amore. Non sto facendo un'apologia del dolore in salsa  melodrammatica, per la quale soffrire è bello. No, parlo di come stare a contatto con la tristezza apre le porte a se stessi e all'incontro pieno con l'altro, la strada possibile se si "vuole vivere e cantare". Altrimenti è facciata, altrimenti sono sorrisi finti, altrimenti è illusione di plastica. 

Marco Mazza
Psicologo Psicoterapeuta Gestalt


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